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Racconti da Marahan -> Ciò che disse il vento, di Pierfazz@IMM -> Odowin, lago Kuur. Ottavo Nehener Stagione Calante

ii - Odowin, Nei pressi del lago Kuur, ottavo Nehener Stagione Calante

Da anni non si vedeva una notte così bella in Odowin. I riti stagionali erano terminati e ai più era concesso il riposo notturno. In pochi avevano l'onere di vegliare sulle proprie tribù proteggendole da eventuali assalitori, e Arborea sembrava volerli premiare con notti di sovrannaturale bellezza. Il silenzio regnava su tutto l'accampamento estendendosi alle molte macchie circostanti e gli astri, luminosi come non mai, cospargevano di una luce pallida l'intera radura donando a tutti gli assopiti, sogni esotici e misteriosi. Valdir si era arrampicato su di una rupe contravvenendo al divieto di allontanarsi dal fuoco durante la guardia notturna. Gli spiriti della notte, così come i predoni, temevano il fuoco. Ma era una restrizione questa, da cui Valdir sentiva di potersi astenere, perché essi nutrivano, nei suoi confronti, timore sicuramente maggiore.

Dall'alto declivio che aveva scalato con facilità, il suo sguardo, libero nella semioscurità poteva raggiungere la dimora di Nomaga che si era circondato dei pesci più stravaganti pur di sfuggire all'uomo e alla sua superbia. Il cielo stellato si rifletteva sulla piatta superficie del grande lago salato e specchiandosi lasciava una piccola immagine, impressa con perfezione sulla fertile superficie di Arborea.

Un uomo dai tratti somatici molto simili a quelli di Valdir, terminò la sua arrampicata e si diresse verso il guardiano.

Valdir aveva già percepito la presenza di Gul e non si stupì della sua improvvisa comparsa.

- Lo sai che è considerato peccato abbandonare il posto di guardia?

- Lo è anche rimanere indifferenti davanti a certe meraviglie. É una delle mie ultime notti qui e non potevo lasciarmi sfuggire un paesaggio come questo. Potrei non rivederne di simili.

Gul si sedette vicino al fratello. Nonostante fosse più giovane di Valdir la sua presenza non lo faceva affatto sfigurare. Un'incredibile maestosità aveva sopperito alla lesa possanza fisica e il primo custode era rispettato praticamente da tutti nell'accampamento. Accentuato dalle linee dure del viso, e dal suo temperamento molto riflessivo il rispetto dovuto per diritto a Valdir era cresciuto negli anni trasformandosi in una sorta di devozione religiosa. Poche volte c'erano state opposizioni alle sue decisioni, mai aveva dovuto intercedere. E i sacrifici che ne conseguivano erano considerati, piuttosto, pegni da pagare alla giustizia, visto che nessuno aveva mai osato mettere in dubbio la forte tempera morale di Valdir.

- Il lago da qui sembra un lembo di cielo, un baluardo di divinità in una terra ormai senza Dio. Non c'è da stupirsi che chi lo abiti disdegni al nostra compagnia.

- Gli dei terreni sono consci della loro grandezza, e non disdegnano gli omaggi della natura.

E l'uomo fa parte di essa. Ma egli rifiuta i nostri doni. Questo dovrebbe essere motivo di meraviglia e sgomento, ma eppure non ci preoccupa come dovrebbe. E forse e meglio così.

Valdir raccolse una pietra da terra per osservarne le striature, scure come la notte.

- Gul, vuoi sapere perché mene andrò, non è vero?

Gul si lisciò i lunghi capelli per poi adagiarli di nuovo dietro la schiena.

- Si, e so anche che preferiresti non parlarne. Ma sarò io a sostituirti e se quello che ti costringe ad allontanarti è veramente importante credo che dovrei esserne a conoscenza.

- Anche se non ti sarà di aiuto?

- Anche.

Ci fu un istante di silenzio, poi Valdir si alzò in piedi sporgendosi pericolosamente verso il precipizio. Gul non si mosse.

- Da ormai molto tempo lo stesso sogno tormenta il mio sonno, e lo stesso pensiero la mia tranquillità. Un essere dall'aria mostruosa mi parla con una serie interminabile d sussurri che sembrano provenire dalle più basse profondità della malvagità umana. É l'incarnazione del terrore e della sofferenza, come un gelido alito di vento che percorre il tuo corpo nudo. Eppure provo un senso di soddisfazione nell'ascoltarlo.

Il buio si accompagna a quei gemiti senza senso, che non ricordano neanche la più ancestrale delle lingue che io conosca. É come se tutti gli incubi dell'umanità fossero stati incisi su di una lastra di ferro, e questa, violentemente strofinata sulla più spigolosa delle rocce, iniziasse a sibilare, accompagnata dalle scintille che temprano l'anima umana nella sua esistenza primordiale. E la cosa strana è che io riesco a comprenderlo. Mi parla di uomini che si proclameranno nuovi profeti e nuovi dei, della nostra intera dimensione che si piegherà su sé stessa schiacciando dei e uomini, morendo e rinascendo milioni di volte fusa in un indistinto inscindibile. Poi sono solo nel deserto e vedo uomini lacerati dalle frecce della possibilità. Iniziano a evolvere in tutte le maniere possibili, le loro menti si annullano, il loro io scompare, e i loro corpi sono ammassi senza forma che si muovono in preda a una apparente casualità. Vedo te e me in loro e ogni faccia che io abbia già intravisto, anche fugacemente, nel villaggio.

Valdir si strinse la lunga treccia argentata che non tagliava da quando era divenuto capo e la tirò come per staccarla. La sua fronte si distese in una maniera grottesca tanto da dilatargli l'intera faccia. Poi Valdir calmatosi lasciò la treccia e tornò a parlare. La sua voce era di nuovo calma.

- All'inizio credevo fosse soltanto una mia suggestione, un subdolo sfogo dei dolori di una vita cullata nella calma. Ma io non credo che nulla di quello che io vedo possa essere generato da una mente umana. Gul, qualcosa mi tormenta, e io non glielo lascerò fare senza lottare. La scorsa notte ho ingerito della mandragola. Essa ha il potere di risvegliare il nostro libero arbitrio nel mondo dei sogni. Molti nei secoli passati l'avevano usata per muovere la loro coscienza in questo regno che solo l'altra parte di noi conosce, e che ce ne trasmette solo ricordi vaghi. Molti impazzirono, guidati da mire di conquista, furono puniti dagli dei. Così molti grandi stregoni perirono, e i poteri di questa pianta sono stati quasi dimenticati. Essa stessa non cresce quasi più ad Arborea. Mene sono procurata un po' tramite un vecchio amico, e ho viaggiato nel mio incubo da sveglio. E così mentre quegli uomini si trasformavano urlanti in qualcosa di sempre più incomprensibile ho staccato lo sguardo da quelle masse informi e ho visto i monti aguzzi. Essi sono sicuramente connessi al sogno e forse là avrò qualche risposta.

- E il villaggio... lo sai come la nostra gente ti stima, con me potrebbe non accadere altrettanto.

- Credo invece che lo faranno, e se malauguratamente ciò non accadrà, potrai servirti della tua parentela nei miei confronti.

Gul non osò opporsi, si alzò e si diresse verso l'accampamento.

- Ora tocca a me vegliare sulla mia gente, e non voglio farmi trovare lontano dal fuoco. Un unica cosa Valdir: stai attento, sei sempre mio fratello.

Gul divenne una delle tante ombre che popolavano l'accampamento e la notte proseguì nel suo silenzio. Quando la prima luce dell'alba ruppe l'incantesimo che aveva regnato in quella notte stellata, nessuna ombra rigò l'alta rupe che dominava la tribù. Valdir sene era andato, pronto a soccombere all'imminente catastrofe che si profilava all'orizzonte del suo destino.


Altri capitoli:

Capitolo 1: Eartara, ottavo Sener Stagione Calante

Capitolo 2: Odowin, lago Kuur. Ottavo Nehener Stagione Calante

Capitolo 3: In volo verso Eartara, nono Nehener Stagione Calante

Capitolo 4: Odowin, Pianura di Miduneer, in viaggio verso i monti aguzzi

Capitolo 5: Eartara, Palazzo dei consiglieri. Nono Ahoer Stagione Calante

Capitolo 6: Villaggio dei Mahari, nono Ahoer Stagione Calante

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